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Aggiornamento in Medicina
Per la malattia di Pompe, una grave malattia metabolica di origine genetica che colpisce i muscoli, in particolare il cuore, è stato proposto un nuovo approccio terapeutico. Lo studio è stato pubblicato su Molecular Therapy da Giancarlo Parenti, ricercatore dell’Istituto Telethon di Genetica e Medicina ( Tigem ), in collaborazione con Generoso Andria, del Dipartimento Clinico di Pediatria, Università Federico II di Napoli.
Nota anche come glicogenosi di tipo 2, questa patologia è dovuta al difetto di un enzima, la alfa-glucosidasi acida ( GAA ), fondamentale per il metabolismo del glicogeno, una delle principali forme di riserva energetica delle cellule. Quando la proteina è difettosa, il glicogeno si accumula e danneggia i muscoli, compreso il cuore nelle forme più gravi.
Le persone affette da malattia di Pompe in molti casi sono costrette su una sedia a rotelle e necessitano spesso di un supporto respiratorio.
Dal 2000 è disponibile una terapia enzimatica sostitutiva, che ha effetti molto variabili: eccellenti in alcuni pazienti, scarsi o del tutto assenti in altri.
La soluzione potrebbe arrivare dal gruppo di Giancarlo Parenti, che già nel 2007 aveva proposto di accompagnare la terapia enzimatica con degli aiutanti farmacologici, chaperone, in grado di migliorare la stabilità dell’enzima difettoso e di ripristinarne – almeno in parte – la funzione. Con questo nuovo lavoro, Parenti e collaboratori hanno dimostrato che gli chaperone sono in grado di aiutare anche l’enzima ricombinante fornito dall’esterno tramite iniezione. Gli esperimenti effettuati sul modello animale della malattia hanno dimostrato che se si combinano le due terapie si ottengono risultati migliori rispetto a quelli ottenibili usando i due approcci singolarmente.
Si prospetta così una terapia molto più efficace per la malattia di Pompe, ma non solo. Il gruppo di Parenti ha dimostrato che la terapia combinata funziona anche per un’altra patologia analoga per la quale esiste una terapia enzimatica sostitutiva: la malattia di Fabry. Un risultato che sembra indicare come questo particolare approccio terapeutico si potrebbe applicare in futuro a tutte le cosiddette malattie lisosomiali, dovute cioè a un difetto genetico in uno dei diversi enzimi deputati alla degradazione di molecole all’interno di speciali compartimenti cellulari ( lisosomi ). In tutte queste patologie ( comprese quella di Pompe e di Fabry ), il difetto enzimatico provoca un accumulo di prodotti all'interno dei lisosomi, che danneggia la cellula stessa. ( Xagena2009 )
Fonte: Telethon, 2009
Endo2009